Vedere la bellezza nelle persone con la sindrome di Down

11 Ottobre 2020

Tempo di lettura 6 minuti

la bellezza nella sindrome di down

Che cos’è la sindrome di Down o Trisomia 21

Le caratteristiche della sindrome furono descritte per la prima volta dal medico inglese John Langdon Down, nel 1862. La sindrome di Down non è una malattia, ma una condizione genetica, determinata da un cromosoma in più nella 21^ coppia cromosomica. Il cariotipo umano è formato da 46 cromosomi, suddivisi in 23 coppie. Durante il processo di divisione cellulare, detto meiosi, è possibile che i cromosomi di una stessa coppia non si separino tra loro, dando origine ad un gamete con entrambi i cromosomi. Se questo gamete verrà fecondato, si produrrà una cellula zigote con 3 cromosomi. E’ ciò che accade nella sindrome di Down, dove la 21esima “coppia” di cromosomi è composta da tre cromosomi, anziché da due. Da ciò deriva il nome di Trisomia 21, col quale si indica, appunto, la sindrome di Down.

Gli stereotipi sulle persone con la sindrome

Contrariamente ad alcuni stereotipi, secondo i quali le persone con Sindrome di Down sono tutte “uguali, felici ed affettuose”, esiste una grande variabilità individuale. Le uniche caratteristiche comuni sono il ritardo mentale -che può essere lieve, medio o grave e manifestarsi attraverso comportamento impulsivo, apprendimento lento, ridotta soglia di attenzione, scarsa capacità di giudizio, ritardo nello sviluppo del linguaggio, etc.-, alcuni tratti somatici -quali, ad esempio, viso piatto e largo, orecchie piccole, piega cutanea all’angolo interno degli occhi (epicanto) ed occhi inclinati verso l’alto, collo tozzo, mani e piedi piccoli, dita di mani e piedi più corte (brachidattilia), bassa statura, ridotto tono muscolare ed articolazioni molto flessibili- ed un cromosoma in più. Lo sviluppo fisico, inoltre, è in genere più lento rispetto ai coetanei.

Nonostante le persone con sindrome di Down condividano alcune caratteristiche fisiche comuni, ognuna è un individuo unico e come tale può manifestare le caratteristiche tipiche della sindrome in maniera diversa. Tali differenze dipendono principalmente da caratteristiche costituzionali, dall’educazione ricevuta, dalle stimolazioni ambientali e terapeutiche. Come per chiunque altro, la serenità di un bambino, di un adolescente, di un adulto con sindrome di Down è legata al suo carattere, all’ambiente e al clima familiare e, dunque, alla sua qualità di vita.

L’impatto della diagnosi di disabilità sulla famiglia

Quando un medico riscontra la sindrome di Down, o qualunque altra anomalia, in un bambino, è necessario comunicare la diagnosi – sia essa presunta o certa, prenatale o postnatale -, con notevole cura e rispetto verso i genitori, sostenendoli nell’affrontare tale evento inatteso, spesso carico di angoscia, e che può essere destabilizzante per ciascuno di essi e per la coppia.

Ci sono tante emozioni che attraversano la mente ed il corpo dei genitori in quei momenti. Un vissuto che accomuna molti genitori è lo smarrimento, il pensare di non sapere come muoversi con la nuova creatura che hanno tra le braccia, di non essere preparati ad affrontare ciò che la nascita di un bambino con sindrome di Down porta con sé. Credo che tutto ciò che passa per la testa dei genitori sia “normale” in quel momento: dalle emozioni più “comprensibili”, come il panico, il senso di colpa (per non essere stati capaci di generare un figlio sano, per aver preferito non fare alcuni esami prenatali, etc.), la speranza che i medici abbiano sbagliato, il senso d’inadeguatezza, ma anche, per molti genitori, semplicemente, l’orgoglio di aver messo al mondo un figlio, ai pensieri considerati “socialmente inaccettabili”, come il rifiuto per il proprio figlio.

Il primo periodo dopo la diagnosi è, spesso, il più difficile. Superato questo primo momento, però, i genitori testimoniano vissuti di incredibile gioia e soddisfazione, come da me personalmente riscontrato durante una ricerca sulla comunicazione di diagnosi, e come possiamo leggere nel lavoro di Don Shenan J. Boquet (2017), che scrive:
«Nonostante tutte le sofferenze fisiche e le privazioni apparenti che accompagnano la sindrome di Down, chi si trova in questa condizione è soddisfatto della propria vita in modo sconcertante e i suoi familiari lo amano in modo altrettanto sconcertante. In uno studio, un compatto 99% di chi vive con la sindrome di Down ha detto di essere “felice” della sua vita. (Mi chiedo: nella nostra epoca di depressione e ansia endemiche, quante persone “normali” potrebbero dire lo stesso?). Un altro studio ha scoperto che il 99% dei genitori dei bambini affetti dalla sindrome di Down ha detto di amare il proprio bambino e il 97% ha dichiarato di essere “orgoglioso di loro”. E, cosa più interessante, il 79% “ha percepito che la propria prospettiva sulla vita fosse più positiva” grazie al loro bambino».

Non poche persone con sindrome di Down sono in grado di raggiungere un buon livello di autonomia. I risultati ottenuti con la terapia, che dev’essere il più precoce possibile, dipendono, tra l’altro, dal livello del quoziente intellettivo, dalla collaborazione della famiglia, dall’integrazione del bambino tra i coetanei. E’ fondamentale credere nelle capacità delle persone con SD e dar loro la possibilità si sentirsi amati ed accolti, perché possano essi stessi aver fiducia nelle proprie potenzialità. Concludo con le parole di Reuven Feuerstein, ideatore del “Metodo Feuerstein”, oggi uno dei più efficaci metodi di sviluppo cognitivo utilizzati anche con le persone con SD:

«Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è ribellarsi alla passività della compassione. Nessuno è “poverino”, nessuno è condannato alla sconfitta. Ciascuno trova in sé risorse inaspettate per sviluppare appieno le proprie potenzialità».

​Mi auguro, in questa Giornata Nazionale delle persone con sindrome di Down, che ognuno possa incontrare persone che gli permettano per lasciar emergere la propria creatività e bellezza.

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